La conversione degli ecosistemi nativi in coltivazioni adatte alla produzione di biocombustibili potrebbe comportare effetti molto negativi sul riscaldamento globale: è quanto ha concluso uno studio svoltò presso l’Università del Minnesota in collaborazione con la organizzazione Nature Conservancy.
Secondo quanto si legge sull’ultimo numero della rivista “Science”, il carbonio che andrebbe perduto convertendo foreste fluviali, boschi, savane e praterie supera infatti di gran lunga il risparmio nelle emissioni garantito proprio dal consumo di combustibili derivati dalle colture agricole invece che di combustibili fossili.
Secondo le stime, l’estensione di colture di mais e di canna da zucchero per ricavare metanolo e di palme e soia per la produzione di biodiesel, rilascerebbe annualmente da 17 a 420 volte più carbonio di quello che si eviterebbe di immettere in atmosfera con la transizione verso i biocombustibili.
Nel corso della ricerca, gli autori dello studio hanno preso in considerazione il caso dell’Indonesia, in cui lo scompenso ha raggiunto valori altissimi: la conversione di suoli torbosi in piantagioni di palma ha determinato un “debito di carbonio” che richiederebbe 423 anni per essere estinto. Allo stesso modo, la perdita di carbonio dovuto al disboscamento della foresta amazzonica per lasciare posto alle coltivazioni di soia potrebbe essere recuperata in 319 anni di consumo di biodiesel.
“Le politiche di incentivazione in atto sono scorrette dal momento che gli agricoltori ricevono una ricompensa per la produzione dell’olio di palma ma non per la gestione del carbonio”, ha commentato Stephen Polasky docente di economia applicata dell’Università del Minnesota, che firma lo studio. “Ciò crea uno sbilanciamento che va a incrementare le emissioni di carbonio.”
E Joe Fargione, studioso di Nature Conservancy che ha partecipato allo studio, rincara la dose. “Se l’obiettivo è mitigare il riscaldamento globale, non è possibile semplicemente convertire i terreni alla produzione di biocombustibili”, ha spiegato. “Tutti i biocombustibili che utilizziamo attualmente causano una distruzione degli habitat, direttamente o indirettamente. L’agricoltura mondiale sostiene già allo sforzo di produrre alimenti per 6 miliardi di persone: se si producono biocombustibili a partire da vegetali commestibili, occorrerà la conversione anche dei terreni che sono già destinati all’agricoltura.”
I risultati di della presente ricerca, tra l’altro, coincidono con l’osservazione di un analogo fenomeno in atto nel contenente americano: la domanda di etanolo sta contribuendo alla conversione della foresta amazzonica brasiliana e del Cerrado (savana tropicale) in terreni adatti alla coltivazione di soia. Analogamente, gli agricoltori statunitensi, che tradizionalmente alternano le colture di mais con quelle di soia, attualmente stanno piantando mais ogni anno per soddisfare la domanda di questo prodotto.
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