Ieri sera tornando a casa dal lavoro, accompagnato da radio24, ho ascoltato con molta attenzione la discussione inerente lo scontro verbale tra Luca Telese e il Sindaco di Adro riguardante la scuola elementare e i simboli leghisti nella stessa.
Scrivo per appoggiare in pieno la franchezza di Telese nel chiamare col giusto nome le cose e le persone e per criticare una posizione che Giuseppe Cruciani, conduttore de La Zanzara, nel suo pieno diritto, sta assumendo ultimamente: il vigile del fuoco.
Da ormai una decina di anni stiamo assistendo ad una deriva culturale in questo paese allarmante. L'intolleranza crescente a cui stiamo assistendo sta diventando normalità, lo "sporco negro" o "zingaro ladro" da ingiuria si sta trasformando in ordinanza sindacale. Oramai ci si scusa se si spara ai pescatori perchè si pensava fossero immigrati (Maroni)
Proprio stamattina venendo a lavoro ascoltavo la puntata di Bianco&Nero (sempre radio24, che rimane uno dei pochi spazi radiofonici in cui si discute veramente) sullo sgombero dei campi rom in Francia e immancabile era intervistato il sindaco-sceriffo padano di turno. La cosa che mi faceva riflettere erano le chiamate da casa, della "gente comune", in cui il grado di xenofobia era così alto da essere allarmante. La cosa più preoccupante era costituita dall'assunzione a slogan politico di un sillogismo imperfetto tipico del razzismo: Alcune persone rubano, alcuni di questi sono ROM, tutti i rom rubano.
In questi ultimissimi anni stiamo assistendo ad un coinvolgimento in tale cultura dell'intolleranza anche dei bambini e della scuola pubblica. Le quote di immigrati in classe, la lotta per il crocifisso (sono ateo e laico ma mi dispiace per il Gesù Cristo inchiodato per la seconda volta ai muri della scuola pubblica di Adro, questa volta però usando i bulloni, nuove reliquie di domani), i simboli politici in classe, etc. etc. (Vorrei sottolineare alla Ministra Gelmini che sbaglia considerando la foto del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ex-PC, come un simbolo della sinistra nella scuola).
Arrivo al ruolo di vigile del fuoco. Denunciare che tale atmosfera è simile a quella che si poteva respirare nella germania nazista o nella serbia di milosevic o nella russia di stanlin non è catastrofismo. E' responsabilità. Non paragono la scuola di Adro a Birkenau, Borghezio a Goebbels o altro. Ma, di contro, nessuno storico ha mai affermato che la sera dopo dell'allegra scorribanda in Birreria di Hitler (1923) questi avesse già i progetti definitivi e i permessi a costruire belli pronti per i campi di sterminio. Coloro che affiancavano Hitler tra la metà degli anni 20 e la metà degli anni 30 non erano gli stessi che scelleratamente lo accompagnarano nei 10 anni successivi. E nel primo periodo (metà '20 - metà '30) una grossa colpa e responsabilità nell'ascesa del nazismo lo ebbe la classe media, che silenziosa e indolente, appoggiò e non seppe prevenire la messa in discarica del tessuto sociale tedesco.
Se la propaganda si volge ai bambini, modellando il contesto culturale in cui vivono, abituandoli all'intolleranza e alla xenofobia, questi crescendo faranno un passo in più in avanti e i loro figli ne faranno un altro ancora. Da persone adulte dobbiamo preoccuparci di quale italiano stiamo formando e di che tipo di società stiamo lasciando ai nostri figli.
Sminuire come folklore la Lega è come trovarsi a Monaco in una serata invernale di 90 anni fa e considerare come goliardia di un gruppo di amici dopo una serata in birreria, un tentativo di colpo di stato.
Chiudo con un sillogismo imperfetto: alcuni italiani sono leghisti, alcuni leghisti sono fallocefalici, tutti i leghisti sono fallocefalici.
Dal rapporto Burtland ad oggi sono passati 20 anni. Una frase così semplice ha trovato tanti ostacoli lungo il suo cammino. Il blog nasce per raccogliere in un unico posto tante notizie, informazioni e documenti che giornalmente raccolgo su Internet. Il WEB 2.0 deve diventare una realtà
15 settembre 2010
10 settembre 2010
Uno sfogo
Partiamo da un presupposto. Tutte le attività umane generano un impatto. Utilizzando un approccio fondamentalista, nelle aree protette, proprio perché protette, si dovrebbero vietare tutte le attività umane, compresa la fruizione turistica. Il trampling è il classico impatto legato alla fruizione turistica
(
http://www3.interscience.wiley.com/journal/119191995/abstract?CRETRY=1&SRETRY=0
http://www.geointeractive.co.uk/contribution/ppfiles/environmental%20impact%20of%20tourism.ppt
).
A questo punto dovremo vietare l'ingresso ai turisti.
Peccato che la legislazione europea e soprattutto italiana non contempli l'idea che un'area protetta sia un santuario inaccessibile. Non ce lo possiamo permettere per tutta una serie di discorsi legati all'uso e abuso del territorio italiano. Un'area protetta non nasce in aree disabitate e dimenticate da Dio, ma in aree dove se va bene è un'area marginale, se va male è un centro turistico. A quel punto che si fa? Cacciamo tutti? Oppure si cerca di ragionare insieme a chi ha il diritto di sussistenza in quell'area di come gestire al meglio la risorsa, coniugando conservazione e uso? E' quello che si sta cercando di fare con gli agricoltori, è quello che si sta cercando di fare con i pescatori. Gente, famiglie che hanno diritti come gli animali e le piante.
Se la migliore soluzione per difendere l'ambiente fosse esclusivamente quello di vietare e basta, a questo punto dovremmo necessariamente fare tutti, e dico tutti, un passo indietro (forse anche dieci) e iniziare a rinunciare a tante, tantissime cose. Vi assicuro che sul mare tutti siamo bravi a farci paladini della sua difesa e poi strafregarsene un attimo dopo. quanti di voi mangiano pesce pescato da un piccolo pescatore? quanti di voi mangiano ricci? Quanti di voi preferiscono le buste di plastica per comodità? Quanti di voi sanno se il depuratore della propria città funziona oppure no? Quanti di voi preferiscono non mangiare tonno in scatola?
Per quanto riguarda la pesca, anche la Comunità Europea non ha deciso di vietare l'attività, perché questa è un'attività economica importante. Soltanto in Puglia ci sono circa 1.800 licenze professionali nel comparto pesca. La soluzione è di saper gestire con responsabilità. Avere il coraggio di fermare con dati alla mano, perché questi ti danno il coraggio e la legittimità a dire a delle famiglie: fermatevi per un anno, cercate di guadagnarvi il pane con altro.
E come sempre, le tanto bistrattate aree protette devono dimostrare con i fatti, sperimentando dentro di loro, che al di fuori di esse una gestione sostenibile delle risorse è possibile. Lo abbiamo fatto per vent'anni con le aree terrestri, che hanno aperto la strada alla pianificazione territoriale tematica, all'utilizzo di sistemi informativi di supporto alle decisioni, che adesso anche le regioni (con orgoglio dico Puglia in testa, ma penso anche alla Toscana, all'Umbria) stanno facendo con responsabilità, in un'ottica di conservazione della biodiversità e sviluppo. Ma penso anche alle politiche agricole legate alla promozione della biologica, alla nascita dei prodotti tipici (di cui adesso, dopo 20 ANNI, slow food si fa promotore).
Adesso è il turno delle aree marine protette, alcune delle quali (poche in verità) stanno sperimentando da anni come coniugare biodiversità e uso della risorsa ittica, con attenzione e responsabilità. Se abbiamo aperto alla pesca è perché attraverso un attento monitoraggio abbiamo imparato quanto, quando, come, pescare per mantenere lo stock ittico in grado di replicarsi. Fuori da un'area marina protetta questo non succede, visto che mancano pianificazione e monitoraggio. Vogliamo dare il buon esempio all'esterno. Perché se un'area protetta non si fa esportatrice di buone pratiche di gestione del territorio e delle risorse, non ci sarà confine che tenga, divieto da rispettare, multa da elevare in grado di fermare la perdita drammatica di biodiversità a cui stiamo assistendo.
Dopo che tutti avranno imparato a gestire il territorio e il mare in un'ottica di sostenibilità e di conservazione della biodiversità, a quel punto le aree protette non avranno più senso di esistere, potranno essere cancellate dalle carte, eliminati quegli antipatici enti gestori. Ma questa è una vera utopia.
Scusate lo sfogo.
(
http://www3.interscience.wiley.com/journal/119191995/abstract?CRETRY=1&SRETRY=0
http://www.geointeractive.co.uk/contribution/ppfiles/environmental%20impact%20of%20tourism.ppt
).
A questo punto dovremo vietare l'ingresso ai turisti.
Peccato che la legislazione europea e soprattutto italiana non contempli l'idea che un'area protetta sia un santuario inaccessibile. Non ce lo possiamo permettere per tutta una serie di discorsi legati all'uso e abuso del territorio italiano. Un'area protetta non nasce in aree disabitate e dimenticate da Dio, ma in aree dove se va bene è un'area marginale, se va male è un centro turistico. A quel punto che si fa? Cacciamo tutti? Oppure si cerca di ragionare insieme a chi ha il diritto di sussistenza in quell'area di come gestire al meglio la risorsa, coniugando conservazione e uso? E' quello che si sta cercando di fare con gli agricoltori, è quello che si sta cercando di fare con i pescatori. Gente, famiglie che hanno diritti come gli animali e le piante.
Se la migliore soluzione per difendere l'ambiente fosse esclusivamente quello di vietare e basta, a questo punto dovremmo necessariamente fare tutti, e dico tutti, un passo indietro (forse anche dieci) e iniziare a rinunciare a tante, tantissime cose. Vi assicuro che sul mare tutti siamo bravi a farci paladini della sua difesa e poi strafregarsene un attimo dopo. quanti di voi mangiano pesce pescato da un piccolo pescatore? quanti di voi mangiano ricci? Quanti di voi preferiscono le buste di plastica per comodità? Quanti di voi sanno se il depuratore della propria città funziona oppure no? Quanti di voi preferiscono non mangiare tonno in scatola?
Per quanto riguarda la pesca, anche la Comunità Europea non ha deciso di vietare l'attività, perché questa è un'attività economica importante. Soltanto in Puglia ci sono circa 1.800 licenze professionali nel comparto pesca. La soluzione è di saper gestire con responsabilità. Avere il coraggio di fermare con dati alla mano, perché questi ti danno il coraggio e la legittimità a dire a delle famiglie: fermatevi per un anno, cercate di guadagnarvi il pane con altro.
E come sempre, le tanto bistrattate aree protette devono dimostrare con i fatti, sperimentando dentro di loro, che al di fuori di esse una gestione sostenibile delle risorse è possibile. Lo abbiamo fatto per vent'anni con le aree terrestri, che hanno aperto la strada alla pianificazione territoriale tematica, all'utilizzo di sistemi informativi di supporto alle decisioni, che adesso anche le regioni (con orgoglio dico Puglia in testa, ma penso anche alla Toscana, all'Umbria) stanno facendo con responsabilità, in un'ottica di conservazione della biodiversità e sviluppo. Ma penso anche alle politiche agricole legate alla promozione della biologica, alla nascita dei prodotti tipici (di cui adesso, dopo 20 ANNI, slow food si fa promotore).
Adesso è il turno delle aree marine protette, alcune delle quali (poche in verità) stanno sperimentando da anni come coniugare biodiversità e uso della risorsa ittica, con attenzione e responsabilità. Se abbiamo aperto alla pesca è perché attraverso un attento monitoraggio abbiamo imparato quanto, quando, come, pescare per mantenere lo stock ittico in grado di replicarsi. Fuori da un'area marina protetta questo non succede, visto che mancano pianificazione e monitoraggio. Vogliamo dare il buon esempio all'esterno. Perché se un'area protetta non si fa esportatrice di buone pratiche di gestione del territorio e delle risorse, non ci sarà confine che tenga, divieto da rispettare, multa da elevare in grado di fermare la perdita drammatica di biodiversità a cui stiamo assistendo.
Dopo che tutti avranno imparato a gestire il territorio e il mare in un'ottica di sostenibilità e di conservazione della biodiversità, a quel punto le aree protette non avranno più senso di esistere, potranno essere cancellate dalle carte, eliminati quegli antipatici enti gestori. Ma questa è una vera utopia.
Scusate lo sfogo.
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