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10 settembre 2010

Uno sfogo

Partiamo da un presupposto. Tutte le attività umane generano un impatto. Utilizzando un approccio fondamentalista, nelle aree protette, proprio perché protette, si dovrebbero vietare tutte le attività umane, compresa la fruizione turistica. Il trampling è il classico impatto legato alla fruizione turistica
(
http://www3.interscience.wiley.com/journal/119191995/abstract?CRETRY=1&SRETRY=0
http://www.geointeractive.co.uk/contribution/ppfiles/environmental%20impact%20of%20tourism.ppt
).
A questo punto dovremo vietare l'ingresso ai turisti.
Peccato che la legislazione europea e soprattutto italiana non contempli l'idea che un'area protetta sia un santuario inaccessibile. Non ce lo possiamo permettere per tutta una serie di discorsi legati all'uso e abuso del territorio italiano. Un'area protetta non nasce in aree disabitate e dimenticate da Dio, ma in aree dove se va bene è un'area marginale, se va male è un centro turistico. A quel punto che si fa? Cacciamo tutti? Oppure si cerca di ragionare insieme a chi ha il diritto di sussistenza in quell'area di come gestire al meglio la risorsa, coniugando conservazione e uso? E' quello che si sta cercando di fare con gli agricoltori, è quello che si sta cercando di fare con i pescatori. Gente, famiglie che hanno diritti come gli animali e le piante.
Se la migliore soluzione per difendere l'ambiente fosse esclusivamente quello di vietare e basta, a questo punto dovremmo necessariamente fare tutti, e dico tutti, un passo indietro (forse anche dieci) e iniziare a rinunciare a tante, tantissime cose. Vi assicuro che sul mare tutti siamo bravi a farci paladini della sua difesa e poi strafregarsene un attimo dopo. quanti di voi mangiano pesce pescato da un piccolo pescatore? quanti di voi mangiano ricci? Quanti di voi preferiscono le buste di plastica per comodità? Quanti di voi sanno se il depuratore della propria città funziona oppure no? Quanti di voi preferiscono non mangiare tonno in scatola?
Per quanto riguarda la pesca, anche la Comunità Europea non ha deciso di vietare l'attività, perché questa è un'attività economica importante. Soltanto in Puglia ci sono circa 1.800 licenze professionali nel comparto pesca. La soluzione è di saper gestire con responsabilità. Avere il coraggio di fermare con dati alla mano, perché questi ti danno il coraggio e la legittimità a dire a delle famiglie: fermatevi per un anno, cercate di guadagnarvi il pane con altro.
E come sempre, le tanto bistrattate aree protette devono dimostrare con i fatti, sperimentando dentro di loro, che al di fuori di esse una gestione sostenibile delle risorse è possibile. Lo abbiamo fatto per vent'anni con le aree terrestri, che hanno aperto la strada alla pianificazione territoriale tematica, all'utilizzo di sistemi informativi di supporto alle decisioni, che adesso anche le regioni (con orgoglio dico Puglia in testa, ma penso anche alla Toscana, all'Umbria) stanno facendo con responsabilità, in un'ottica di conservazione della biodiversità e sviluppo. Ma penso anche alle politiche agricole legate alla promozione della biologica, alla nascita dei prodotti tipici (di cui adesso, dopo 20 ANNI, slow food si fa promotore).
Adesso è il turno delle aree marine protette, alcune delle quali (poche in verità) stanno sperimentando da anni come coniugare biodiversità e uso della risorsa ittica, con attenzione e responsabilità. Se abbiamo aperto alla pesca è perché attraverso un attento monitoraggio abbiamo imparato quanto, quando, come, pescare per mantenere lo stock ittico in grado di replicarsi. Fuori da un'area marina protetta questo non succede, visto che mancano pianificazione e monitoraggio. Vogliamo dare il buon esempio all'esterno. Perché se un'area protetta non si fa esportatrice di buone pratiche di gestione del territorio e delle risorse, non ci sarà confine che tenga, divieto da rispettare, multa da elevare in grado di fermare la perdita drammatica di biodiversità a cui stiamo assistendo.
Dopo che tutti avranno imparato a gestire il territorio e il mare in un'ottica di sostenibilità e di conservazione della biodiversità, a quel punto le aree protette non avranno più senso di esistere, potranno essere cancellate dalle carte, eliminati quegli antipatici enti gestori. Ma questa è una vera utopia.

Scusate lo sfogo.

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