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4 aprile 2011

Sull’antifascismo non si tratta

L’idea di tre senatori del Pdl e di un “finiano” di presentare un disegno di legge costituzionale per abrogare la disposizione XII che vieta “la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista” sarebbe niente di più di un’ulteriore prova dell’ignoranza dei parlamentari della maggioranza di governo, se non fosse immorale e pericolosa.


Gli sconsiderati senatori sostengono infatti che la disposizione in questione è transitoria e dunque, dopo 65 anni, può essere allegramente abbandonata. Anche chi conosce soltanto i primi rudimenti di diritto costituzionale sa che quella disposizione non è transitoria perché non contiene indicazioni di limiti temporali ed è invece finale, e sta lì in quanto esprime un giudizio storico e morale inappellabile e irreversibile di condanna del regime fascista.


La ragion d’essere della nostra Costituzione è l’antifascismo. Tolta quella disposizione, tutta la carta fondamentale perde la sua fisionomia etica e politica. Ma questo è appunto ciò che il signore e i suoi servi vogliono: liberarsi dalla Costituzione, devastandola pezzo per pezzo. O noi ci liberiamo di loro, o loro si libereranno dalla Costituzione, ultimo baluardo della nostra libertà e dignità civile. Non c’è via di mezzo. Questo è il carattere dello scontro politico oggi in Italia. La ragione per cui l’idea di abrogare la disposizione XII è immorale la capisce anche un bambino: sarebbe un’offesa alla memoria di coloro che hanno lottato contro il fascismo e un’assoluzione dei crimini e delle responsabilità di quel regime. E’ un’idea pericolosa perché il fascismo, come modo di sentire e di pensare, è nella nostra storia e fa parte del nostro spirito nazionale. E’ dunque semplicemente folle indebolire le difese politiche e legali. Saggezza e rettitudine suggeriscono un comportmento esattamente opposto.



Chiunque abbia la possibilità di fare sentire la propria voce in Parlamneto, nelle piazze, nelle televisioni, sui giornali, ha il dovere di parlare per fare nascere un movimento di sdegno nobile e fermo contro questo nuovo attacco alla nostra libertà. Il prossimo 25 aprile sia l’occasione per dire al signore e ai suoi servi che per impedire un simile scempio siamo disposti a lottare con tutte le nostre forze.


viroli@princeton.edu

E’ vero che la gestione delle scorie costituisce un problema ormai risolto? E’ falso!

I sostenitori del nucleare affermano che si tratta di una fonte pulita e sicura, quasi che ci si dimentichi del problema della gestione delle scorie.
L'energia nucleare, nel suo ciclo di produzione inevitabilmente origina scorie radioattive la cui gestione costituisce, probabilmente, il più grave dei problemi non risolti connessi a tale tecnologia. Il fatto che la ricerca della soluzione a tale problema abbia goduto, per oltre 50 anni, degli investimenti più massicci rispetto a qualsiasi altra tecnologia ci fa temere che il problema resterà irrisolto, anche perché non esiste la possibilità scientifica di dimostrare il mantenimento delle condizioni di sicurezza necessarie per alcune centinaia di migliaia di anni, richieste dai rifiuti radioattivi di III categoria (ossia le scorie a più altro livello di radioattività derivate direttamene dai processi di combustione e dagli elementi che con questa direttamente vengono a contatto). Nessuna opera dell'uomo può ragionevolmente pensare di sfidare tempi così lunghi! Non esiste in nessuna parte del mondo un'esperienza concreta in grado di assicurare sicurezza e affidabilità, sul lungo periodo, di uno stoccaggio delle scorie a più alta radioattività. Senza considerare quali sarebbero i costi per mantenere in sicurezza un simile sito per tempi tanto lunghi difendendolo anche da possibili attacchi terroristici, un rischio quest'ultimo che è andato aumentando cui possono essere sottoposti non solo gli impianti ma anche le stesse operazioni di trasposto del combustibile esausto. Minacce destinate solo ad accentuarsi qualora ci fosse un incremento di produzione di energia nucleare.
Negli Stati Uniti è dagli anni '70 che si sta studiando un deposito definitivo per le scorie radioattive a più alta intensità. Nel 1978 furono avviati gli studi nel sito di Yucca Mountain, nel deserto del Nevada. I costi di costruzione di questo sito supereranno i 54 miliardi di dollari (che dovranno essere pagati con le tasse dei contribuenti), ma non è affatto certo che questo entrerà mai in funzione. La data d'inizio dello stoccaggio è stata più volte fatta slittare (oggi si parla forse del 2017), questo a causa di numerosi problemi, non ultimo il fatto che il DOE statunitense ha denunziato omissioni e irregolarità negli studi geologici che minano la sicurezza stessa del sito. Peraltro proprio a marzo 2009 l'amministrazione Obama sembrerebbe avere tagliato ingenti fondi a questo progetto, dando un forte segnale di non ritenerlo adeguatamente idoneo come deposito geologico per le scorie.
Ma anche se il deposito di Yucca Mountain dovesse, un giorno, entrare in servizio, potrà contenere circa 70.000 tonnellate di rifiuti radioattivi peccato che, come scrivono in uno splendido libro Balzani e Armaroli  : "nel 2017 gli Stati Uniti avranno accumulato 85.000 tonnellate di combustibile esausto dalle loro centrali nucleari: il deposito è dunque già virtualmente pieno, dieci anni prima della sua apertura. Più in generale, agli attuali ritmi di produzione complessiva di elettricità e armamenti nucleari, il mondo avrebbe bisogno di un deposito con capacità di Yucca Mountain ogni due anni."
A tutto questo andrebbe aggiunto, come riportano sempre Armaroli e Balzani , che "Per ottenere le160 tonnellate di uranio necessarie per far funzionare una centrale standard per un anno, se si parte da un granito ricco in uranio (1000 ppm), occorre processare 160.000 tonnellate di materiale e i lavori in miniera implicano lo sbancamento di quantità ancora maggiori di roccia". I materiali di scarto che restano a valle del processo sono, oltre che radioattivi, fortemente contaminati da una serie di sostanze chimiche impiegate. Si tratta quindi di materiali inquinati e inquinanti che spesso non vengono gestiti in modo adeguato, ma abbandonati sul posto con gravissimi danni per l'ambiente e la salute delle persone stesse.
I pur modesti programmi nucleari che l'Italia aveva sviluppato nel passato e che furono chiusi con il referendum del 1987, ci hanno lasciato la pesante eredità dello smantellamento delle centrali e della gestione delle scorie. Aspetti che sono assai lontani da qualsiasi vera soluzione malgrado l'elevato costo che i cittadini italiani hanno già dovuto sostenere con le proprie bollette elettriche.
Sarebbe quindi saggio che l'Italia, prima di pensare alla costruzione di nuove centrali, provveda a risolvere i problemi lasciatici in eredità dal vecchio nucleare…

3 aprile 2011

E’ vero che l’uranio è una risorsa molto abbondante in natura? E’ falso!

Quello dell'abbondanza dell'uranio in natura è sicuramente una delle principali mistificazioni in merito a questa fonte non rinnovabile. E' vero si che si tratta di un minerale piuttosto diffuso in natura ma solo in concentrazioni praticamente infinitesime, tanto basse da non risultare praticamente sfruttabili. Le uniche riserve realmente sfruttabili sono quelle presenti in pochi giacimenti concentrati solo in alcuni paesi. Di fatto il 60% dell'uranio è prodotto dal Canada, dall'Australia e dal Kazakistan, i paesi in cui si concentrano le principali riserve del minerale. Altri paesi con riserve di un certo interesse sono la Russia, il Niger, la Namibia, l'Uzbekistan, il Sud Africa, il Brasile.

Le riserve complessive di uranio accertate ammonterebbero a circa 5,5 milioni di tonnellate , corrispondenti a 18-29 Gtep elettrici (dal momento che l'unica energia utilizzabile di una centrale nucleare è quella elettrica. All'atto pratico queste sono sufficienti per alimentare gli attuali 435 impianti in esercizio per circa 50 anni…

Va da se che si pensasse di sostituire, per la produzione di elettricità, tutta l'energia fossile con quella nucleare (fissile) occorrerebbe realizzare alcune migliaia di nuove centrali e quel punto le riserve di uranio si esaurirebbero nel giro di pochissimi anni.

Di fatto già oggi la produzione d'uranio è inferiore al reale fabbisogno degli impianti in esercizio: a fronte di una produzione di uranio annua di circa 41.000 tonnellate, il fabbisogno supera le 69.000 tonnellate. Questo deficit è stato colmato dalle scorte militari derivanti dallo smantellamento delle testate nucleari. Ma queste, per fortuna, nei prossimi anni andranno progressivamente a esaurirsi con conseguente ripercussione sulle possibilità effettive di alimentare i reattori.

Esiste poi la leggenda della possibilità di ottenere l'uranio dall'acqua di mare. Ma di leggenda si tratta. L'uranio è effettivamente presente nelle acque marine ma con concentrazioni bassissime, dell'ordine di circa 3 milligrammi per m3. Qualsiasi studio fatto per estrarre quest'uranio ha dimostrato che la fattibilità tecnica si scontra con i bilanci energetici, di cui occorrerebbe sempre tenere conto. Per intenderci l'estrazione dell'uranio dagli oceani richiede quantità di energia sensibilmente superiori rispetto a quelle che poi l'uranio, così ottenuto, fornirebbe in una centrale elettronucleare e, da che mondo e mondo, quando un bilancio energetico è negativo (energia richiesta maggiore di quella ricavata) si tratta di una strada assolutamente priva di senso... Ovviamente non solo i bilanci energetici sarebbero negativi ma anche gli stessi costi finirebbero con l'essere ancora più proibitivi.

1 aprile 2011

E’ vero che in Italia l’energia elettrica costa di più che negli altri paesi europei perché noi non abbiamo impianti nucleari? E’ falso!

Se l'energia elettrica per le utenze domestiche costa più che negli altri paesi non è certo per l'assenza d'impianti nucleari ma piuttosto per tutta una serie di aspetti ed extracosti caratteristici del sistema elettrico italiano.
Uno di questi riguarda il meccanismo di formazione del prezzo dell'elettricità nella Borsa elettrica, detto anche "sistema del prezzo marginale", secondo cui il prezzo orario dell'energia elettrica scambiata è fissato sul prezzo più alto offerto dai produttori. In sostanza con questo meccanismo a tutti i fornitori di energia elettrica è riconosciuto il prezzo più alto tra tutte le offerte fatte in una certa ora. Come dire un meccanismo dove tutti i produttori ci guadagnano a scapito dei cittadini che si vedono lievitare le bollette. In Italia, infatti, i margini di guadagno per i produttori sono quasi doppi rispetto a quelli degli altri paesi europei.
A gonfiare poi le nostre bollette ci sono anche le incentivazioni del famigerato meccanismo CIP 6 (dal nome della deliberazione del Comitato Interministeriale Prezzi del 1992) con cui non solo le energie rinnovabili ma, soprattutto, le così dette assimilate (scarti della lavorazione del petrolio, rifiuti indifferenziati, ecc.) beneficiano di tariffe fortemente incentivanti pagate dai cittadini tramite la componente tariffaria A3 della bolletta elettrica. L'aspetto scandaloso è che circa l'80% degli incentivi CIP 6 sono stati destinati alle assimilate che tutto sono tranne che fonti rinnovabili e pulite. Un vero regalo a petrolieri, inceneritoristi, ecc.
A questi si possono aggiungere una serie di altre "peculiarità" italiane come la rendita di posizione dell'operatore dominante (Enel) per la cessione all'Acquirente Unico dei contratti pluriennali d'importazione (ovviamente fatta a prezzi molto vantaggiosi per l'Enel) oppure il costo d'interrompibilità che, di fatto, consente a soggetti industriali di beneficiare di tariffe elettriche particolarmente vantaggiose.
Tutto l'insieme di distorsioni che caratterizzano il sistema elettrico italiano fanno si che le bollette pagate dai cittadini lievitino di almeno un 20%. Se tutte queste "stranezze" fossero eliminate, le nostre bollette sarebbero equiparabili a quelle degli altri paesi europei. Per contro siamo certi (perché lo dicono prestigiosi studi e gli stessi rapporti economici di Moody's) che, con il nucleare, le bollette elettriche saranno destinate solo ad aumentare…

E’ vero che il nucleare è economico e permetterà di ridurre le bollette dell’energia elettrica? E’ falso!

Quella nucleare è da sempre stata la più costosa delle fonti energetiche, e questo non sono le associazioni ambientaliste a sostenerlo ma enti e università, peraltro spesso molto favorevoli a questa forma di energia. Il Dipartimento dell'Energia degli Stati Uniti  (DOE), alcuni anni fa, aveva stimato che la costruzione di una nuova centrale nucleare avrebbe richiesto diversi anni e alla fine 1 kWh di energia elettrica sarebbe venuto a costare 6,13 centesimi di dollaro, quando lo stesso kWh prodotto da gas sarebbe costato 4,96 centesimi e quello da carbone 5,34, addirittura costerebbe meno l'energia da fonte eolica (5,05 centesimi a kWh). Si tratta peraltro di stime ottimistiche e benevole nei confronti del nucleare, ma il risultato resta quello di una severa bocciatura dal punto di vista economico di questa fonte energetica. A risultati analoghi era giunto un importante studio realizzato dalla Chicago University  sempre per conto DOE. Questo lavoro stimava costi per il nucleare da 47 a 71 dollari al megawattora (MWh), contro i 33-41 dollari del carbone e i 35-45 dollari del turbogas.
Già in un dettagliato studio del 2003 effettuato dal prestigioso Massachusetts Institute of Technology erano assegnati i costi più alti al kWh nucleare . Questo lavoro è stato aggiornato nel 2009  , ma i risultati restano avversi al nucleare…
Anche dai dati della seguente tabella è possibile vedere come sempre il DOE continui a considerare l'energia elettrica prodotta da nuovi impianti (operativi nel 2020) come la più costosa.

Secondo le stime fatte in un recente rapporto dall'agenzia di rating Moody's (Moody's Investors-2008)  si parla di oltre 7.000 $ per kW installato. Inoltre, sempre secondo questo rapporto, per Moody's, il costo del kWh nucleare sta aumentando del 7% l'anno, e quindi nel 2020 sarà praticamente raddoppiato come si vede nel seguente grafico, quindi se si dovessero realizzare centrali nucleari siamo sicuri che anche in Italia le bollette elettriche aumenteranno.

In realtà altri studi indipendenti parlano di cifre già superiori ai 10.000 dollari a kWp, un valore che sembra essere pienamente confermato da quanto accaduto nel 2009 in Canada, dove le offerte per la costruzione di due nuovi reattori sono state tre volte più alte rispetto alle attese al punto che il Governo ha sospeso la gara. All'atto pratico l'offerta dell'AECL (Atomic Energy of Canada Limited) prevedeva per due unità da 1.200 MW, con tecnologia Candu (il reattore ad acqua pesante di canadese), un costo di 26 miliardi di dollari, ossia 10.800 dollari a kWp. La seconda offerta era quella fatta dal costruttore francese Areva, che proponeva due EPR da 1.600 MW al costo di 23,6 miliardi di dollari, ossia 7.375 dollari/kW, ma con minori garanzie sui possibili extracosti, assai comuni in questo tipo d'impianti. Interessante notare come l'offerta Areva, tradotta nella valuta europea, corrisponda a oltre 4.500 euro/kW, ossia quasi il triplo del preventivo presentato al governo finlandese per la centrale di Olkiluoto, e si che si tratta della stessa tecnologia…
Ma questo non deve stupire se si pensa che l'impianto in costruzione in Finlandia ha già maturato tre anni di ritardo e non si sa quando sarà realmente terminato e la spesa prevista è già quasi raddoppiata arrivando a 5,3 miliardi di euro. Tutto questo è stato determinato da pesanti difetti di costruzione (quindi anche di progetto) e violazione delle norme di sicurezza. La stessa amministratrice delegata di Areva ha dovuto ammettere che l'effettivo costo dell'impianto e il tempo necessario a realizzarlo si sarebbero saputi solo a conclusione dei lavori… Verrebbe da chiedersi: quale imprenditore sarebbe tanto pazzo da fare un simile investimento se tutti gli extracosti non fossero immoralmente esternalizzati sulla collettività?
Del resto nella storia del nucleare i reali costi sono sempre stati almeno doppi o tripoli rispetto ai preventivi di partenza, questo a prescindere dal paese considerato. Negli Stati Uniti è ben documentato come i costi effettivi di costruzione abbiano superato quelli di progetto dal 214 al 381%…
Tutte queste valutazioni economiche, già assai negative sull'energia nucleare, potrebbero essere addirittura fortemente sottostimate in particolare per quanto concerne i costi del decommissionamento degli impianti e il trattamento delle scorie di lungo periodo. Aspetti che nella maggior parte dei casi non sono stati adeguatamente, o affatto, considerati nei modelli economici adottati.
Del resto non è un mistero che se negli scorsi decenni la tecnologia nucleare si è sviluppata è stato solo grazie ai massicci finanziamenti governativi strettamente connessi alla corsa agli armamenti nucleari. Gli elevati capitali di rischio e i tempi troppo lunghi di costruzione e di rientro sull'investimento hanno rappresentato uno dei più forti deterrenti per gli investitori privati. Sono questi alcuni dei motivi per cui la stessa Banca Mondiale ha evitato per molto tempo di promuovere investimenti nel settore nucleare.
Ed è per le stesse ragioni che negli USA non si costruiscono più reattori nucleari dai primi anni '80.
Ai già citati costi economici bisognerebbe poi aggiungere quelli umani e sociali legati al problema della sicurezza, non solo per l'impianto nucleare ma anche per il deposito di stoccaggio delle scorie, per il trasporto del combustibile esausto, ecc. Si tratta di costi fortemente sottovalutati e che nessuna compagnia di assicurazione copre: il tutto ricade sulle finanze dello stato e quindi sulla collettività.
Il costo dell'uranio, poi, è destinato a crescere poiché entro il 2030 saranno esaurite le miniere ad alta concentrazione in giacimenti trattare (soft ore), si dovrà quindi ricorrere all'estrazione di uranio da graniti (hard ore) a una concentrazione decine di volte inferiore.
Quindi se l'Italia volesse veramente coprire il 25% dei proprio fabbisogni elettrici col nucleare, come sostiene il governo italiano, occorrerebbe installare oltre10.000 MW (di potenza nucleare), questo comporterebbe un costo superiore a 45 miliardi di euro (almeno stando alla stime fatte nella proposta di Areva al governo canadese) In realtà, dai dati sopra riportati, appare di tutta evidenza che, se si volessero rispettare i migliori standard di sicurezza, i costi più probabili per i 10.000 MW italiani comporterebbero un esborso anche superiore ai 60 miliardi di euro, una somma quasi tre volte maggiore rispetto alle irrealistiche cifre dichiarate da Enel e dal Governo italiano.