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3 novembre 2011

Il debito va pagato. Ma da chi lo ha generato


 
 

tramite Il Fatto Quotidiano di Maurizio Pallante e Andrea Bertaglio il 03/11/11

In questo periodo di proteste sono stati diffusi in rete appelli come "Noi il debito non lo paghiamo. Dobbiamo fermarli". Ma non sarebbe meglio dire: il debito deve essere pagato da chi ci ha speculato sopra, da chi ci si è arricchito più di quanto lo era già?

L'ambiguità delle affermazioni tipo "Non paghiamo il debito" derivano da una interpretazione della crisi e delle sue cause un po' semplicistica. Si parla infatti «di una crisi provocata e gestita dai ricchi e dal grande capitale finanziario». Ma si tratta davvero di una crisi prevalentemente finanziaria? Non della crisi di un modello economico e produttivo fondato sulla crescita della produzione di merci?

I colossali debiti pubblici dei Paesi industrializzati, a cui occorre aggiungere i debiti delle famiglie e delle imprese, sono stati accumulati allo scopo di accrescere sistematicamente la domanda per assorbire le quantità crescenti di merci immesse sui mercati in conseguenza di un aumento della produttività dovuto allo sviluppo tecnologico. Il pagamento del debito deve quindi ricadere sulle spalle di chi ha gestito la domanda speculandoci sopra, mediante una tassazione mirata sui grandi capitali e i grandi profitti. Il debito va pagato da loro.

Ma questo non basta se contestualmente non si interviene per eliminare le cause che hanno portato all'accumulazione di questi debiti. Solo una decrescita selettiva del Pil, ottenuta eliminando gli sprechi e le inefficienze con uno sviluppo tecnologico diverso, non più finalizzato ad accrescere la produttività, ma a ridurre il consumo di risorse, il consumo di energia e le quantità dei rifiuti, può consentire che non si accumulino di nuovo dei debiti per assorbire una produzione crescente di merci che non sarebbe assorbita autonomamente dal mercato.

Dunque: il debito è stato contratto dagli Stati per consentire alle grandi aziende di vendere tutto ciò che producono (per esempio i contributi pubblici per la rottamazione delle automobili) o di realizzare grandi opere pagate dal denaro pubblico (per esempio il Tav, le autostrade, le strutture olimpiche). Per pagare questi costi gli Stati si sono fatti prestare i soldi dai risparmiatori e li hanno dati alle grandi imprese. Se si decide di non pagare più il debito, chi ha avuto ha avuto (le grandi imprese), chi ha dato ha dato (i risparmiatori) e non gli viene restituito ciò che ha dato. Ma chi sostiene queste proposte ha una vaga idea delle loro conseguenze? Il debito va pagato e lo devono pagare le classi sociali che ci si sono arricchite sopra.

Questo va detto senza ambiguità, senza rifugiarsi dietro frasi vuote come: «Si deve uscire dalla crisi con il cambiamento e l'innovazione». O affermazioni del tipo: «Le risorse ci sono». Se per risorse s'intendono quelle della Terra, sono in molti ad avere dei dubbi che ce ne siano ancora abbastanza per continuare a consumarne come si è fatto negli ultimi cento anni. Se per risorse s'intendono quelle finanziarie e si porta come esempio il taglio delle spese militari (che va fatto per ragioni etiche su cui non occorre spendere parole) non si ha idea di cosa si sta parlando: il bilancio del Ministero della difesa italiano nel 2010 è stato di 27 miliardi di euro, il costo dei 131 cacciabombardieri F 35 ammonterà nei prossimi anni a 17 miliardi di euro, il debito pubblico italiano viaggia verso i 2000 miliardi di euro. Il taglio delle spese militari non basta.

Tutto ciò può dare una boccata d'ossigeno. Ma non servirebbe se son si eliminassero le cause che hanno portato alla formazione dei debiti pubblici e cioè la finalizzazione dell'economia alla crescita della produzione di merci. Solo una politica economica e industriale finalizzata alla riduzione dei consumi inutili e degli sprechi, la crescita dell'efficienza energetica, lo sviluppo delle fonti rinnovabili, il recupero dei materiali contenuti negli oggetti dismessi, il blocco della cementificazione, la ristrutturazione del patrimonio edilizio esistente, il potenziamento dei trasporti pubblici e forti limitazioni all'uso dei mezzi privati possono consentire alle economie dei paesi industrializzati di uscire dalla spirale dei debiti che li sta strozzando.

Raccolta differenziata: 30 rifiuti che non si riciclano né si compostano

Nonostante il riciclaggio e il compostaggio siano due delle pratiche
green più importanti, ci sono alcuni rifiuti, anche organici, che non
si differenziano nei normali bidoni della raccolta differenziata
(carta, plastica, vetro) né compòstano come erroneamente si potrebbe
credere.

Ricordate i giorni in cui c'era un solo raccoglitore della spazzatura?
Abbiamo spedito in discarica cose che avrebbero potuto concimare i
giardini dei nostri cortili, abbiamo sepolto a fianco di altri
materiali, composti che avremmo potuto recuperare e reinserire nella
catena di produzione.

Oggi ognuno di noi ha diversi bidoni della spazzatura e molti sono
soliti cimentarsi nella produzione di compost fai-da-te da utilizzare
come concime per il proprio giardino. Ma non tutti i rifiuti sono
adatti per un raccoglitore o per l'altro. Ed esistono ancora molti
luoghi comuni che è meglio sfatare.

Ecco un elenco di 30 cose che le persone erroneamente tentano di
compostare o riciclare.

RIFIUTI ORGANICI CHE E' MEGLIO NON INSERIRE NEL COMPOST:

Prodotti di panetteria: torte, pasta e prodotti da forno. Metti uno di
questi elementi nella pila per il compostaggio e hai steso il tappeto
di benvenuti per i parassiti indesiderati.

Olio da cucina: è ideale come cibo per animali e per insetti
visitatori. Può anche sconvolgere l'equilibrio di umidità del
compostaggio. Soprattutto se si tratta dell'olio della frittura
esausto per la quale esistono, come abbiamo visto, particolari regole
a cui attenersi per il corretto smaltimento.

Piante malate: cestinatele. Se non volete trasferire batteri o funghi
a tutto ciò che finisce nel compostaggio.

Feci umane o animali: Troppo rischio per la salute. Ciò include la
lettiera del gattino. I rifiuti e la lettiera dagli animali domestici
non-carnivori dovrebbero essere fini.

Prodotti a base di carne: Ciò include i grassi animali delle ossa, di
sangue e del pesce. Un altro magnete per i parassiti.

Prodotti lattiero-casearii: Astenetevi dal concimare con composti in
latte, formaggio, yogurt e crema. Si degradano e attirano i parassiti.

Riso: il riso cucinato è insolitamente focolaio fertile per quei
generi di batteri che non volete nel vostro concime. Il riso crudo
attira microorganismi nocivi.

Segatura: così allettante. Ma se non si conosce il legno da cui
proviene e come è stata trattata, meglio stare alla larga.

Piante da giardino testarde: i denti di leone, l'edera e il kudzu sono
esempi di piante o di erbacce che, se destinate al compostaggio,
piuttosto che decomporsi, utilizzerano il nostro compost come posto
ideale per svilupparsi.

Prodotti personali usati: tamponi, pannolini e oggetti sporchi di
sangue o liquidi sono un rischio per la salute.

Noci: contengono il juglone, una sostanza naturale aromatica e tossica
per alcune piante.

RIFIUTI CHE NON SI RICICLANO NELLA COMUNE DIFFERENZIATA

raccolta_differenziata2

Bombolette per l'aerosol: sono di metallo. Poiché le bombolette spray
contengono anche i propellenti ed i prodotti chimici, la maggior parte
dei sistemi comunali li considerano materiale pericoloso.

Batterie: sono riciclate separatamente sia dai rifiuti regolari che
dal riciclaggio porta a porta.

Carta brillante, tinta: le forti tinture di carta funzionano come un
calzino rosso nel bucato bianco.

Ceramiche: es. le tazze di caffè. Possono essere riutilizzate per il giardino.

Pannolini: Non è commercialmente fattibile recuperare la carta e la
plastica dei pannolini usa e getta. Molti Comuni hanno previsto una
raccolta ad hoc, ma per non sbagliare meglio orientarsi verso
pannolini biodegradabili (e anche compostabili) o pannolini lavabili.

Rifiuti pericolosi: includono prodotti chimici di uso casalingo,
l'olio del motore, l'antigelo ed altri liquidi refrigeranti. L'olio
del motore è riciclabile, ma di solito è trattato separatamente dagli
articoli per la casa. Scoprite come la vostra comunità tratta i
materiali pericolosi prima di aver bisogno di questi servizi.

Vetro per la casa: i vetri delle finestre, gli specchi, sono poco
pratici da riciclare e non andrebbero buttati nella classica campana.
Anche qui informarsi prima sul corretto smaltimento

Le lampadine a risparmio energetico sono riciclabili, ma contengono
una piccola quantità di mercurio e non dovrebbero essere trattate come
le lampadine comuni di casa. In Italia è il Consorzio Ecolamp ad
occuparsi dello smaltimento di queste lampadine e bisogna informarsi
sui punti di raccolta allestiti nelle diverse città.

Contenitori per succhi di frutta ed altri contenitori di bevande
rivestiti di cartone: Alcune aziende di imballaggi (Tetra pack o
Elapack) hanno cominciato a produrre i contenitori riciclabili. Questi
saranno appositamente contrassegnati con l'apposito simbolo. Gli altri
non sono adatti per il riciclaggio.

Rifiuti sanitari: siringhe, tubi, bisturi ed altri elementi a rischio
biologico dovrebbero essere smaltiti come tali.

Gomme e Pneumatici: anche loro hanno un sistema di smaltimento
apposito, mai gettarli nei cassonetti della plastica.

Tovaglioli ed fazzoletti di carta: tranne i casi in cui hanno
assorbito qualcosa in particolare, destinarli al compostaggio.

Contenitori della pizza: Al contrario di ciò che si pensa questi
cartoni una volta mangiata la pizza sono troppo grassi per essere
inseriti nel bidone della carta.

Sacchetti di plastica ed involucro di plastica: se possibile, pulire e
riutilizzare. Assicurarsi che non vengano dispersi nell'ambiente.

Scatole di plastica rivestite, contenitori di plastica per alimenti,
o plastica senza il simbolo del riciclo: nel bidone della plastica
vanno inseriti solo i contenitori appositamente segnalati dal simbolo,
per il restante informarsi sul corretto smaltimento.

Viti di plastica: smaltire separatamente dalle bottiglie di plastica
riciclabili. Ricorda che i tappi più piccoli sono rischio di
soffocamento se immessi nell'ambiente.

Stoviglie di plastica: piatti, bicchieri e posate di plastica non sono
riciclabili e vanno gettati nell'indifferenziato. A meno che non si
tratti di prodotti in bioplastica biodegradabile come il mater-Bi che
possono essere tranquillamente compostati.

Carta bagnata: la carta che è stata esposte all'acqua non può essere
riciclata. Le fibre possono essere danneggiate e ci sono rischi di
contaminazione.

Scontrini e carta trattata chimicamente: vanno gettati nell'indifferenziata

Il vostro sistema di riciclaggio comunale ha l'ultima parola su ciò
che finisce nel bidone. Alcune zone limiteranno più elementi di quelli
elencati. Altri hanno programmi speciali per la gestione dei materiali
complessi o più problematici. Nella maggior parte dei casi, i sistemi
comunali sono lieti di fornire ai cittadini linee guida scritte. Ti
chiedi come riciclare qualcosa? Chiama il numero verde del Comune
della tua città che saprà sicuramente indirizzarti all'ufficio
dedicato appositamente istituito per eliminare ogni vostro dubbio.

4 aprile 2011

Sull’antifascismo non si tratta

L’idea di tre senatori del Pdl e di un “finiano” di presentare un disegno di legge costituzionale per abrogare la disposizione XII che vieta “la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista” sarebbe niente di più di un’ulteriore prova dell’ignoranza dei parlamentari della maggioranza di governo, se non fosse immorale e pericolosa.


Gli sconsiderati senatori sostengono infatti che la disposizione in questione è transitoria e dunque, dopo 65 anni, può essere allegramente abbandonata. Anche chi conosce soltanto i primi rudimenti di diritto costituzionale sa che quella disposizione non è transitoria perché non contiene indicazioni di limiti temporali ed è invece finale, e sta lì in quanto esprime un giudizio storico e morale inappellabile e irreversibile di condanna del regime fascista.


La ragion d’essere della nostra Costituzione è l’antifascismo. Tolta quella disposizione, tutta la carta fondamentale perde la sua fisionomia etica e politica. Ma questo è appunto ciò che il signore e i suoi servi vogliono: liberarsi dalla Costituzione, devastandola pezzo per pezzo. O noi ci liberiamo di loro, o loro si libereranno dalla Costituzione, ultimo baluardo della nostra libertà e dignità civile. Non c’è via di mezzo. Questo è il carattere dello scontro politico oggi in Italia. La ragione per cui l’idea di abrogare la disposizione XII è immorale la capisce anche un bambino: sarebbe un’offesa alla memoria di coloro che hanno lottato contro il fascismo e un’assoluzione dei crimini e delle responsabilità di quel regime. E’ un’idea pericolosa perché il fascismo, come modo di sentire e di pensare, è nella nostra storia e fa parte del nostro spirito nazionale. E’ dunque semplicemente folle indebolire le difese politiche e legali. Saggezza e rettitudine suggeriscono un comportmento esattamente opposto.



Chiunque abbia la possibilità di fare sentire la propria voce in Parlamneto, nelle piazze, nelle televisioni, sui giornali, ha il dovere di parlare per fare nascere un movimento di sdegno nobile e fermo contro questo nuovo attacco alla nostra libertà. Il prossimo 25 aprile sia l’occasione per dire al signore e ai suoi servi che per impedire un simile scempio siamo disposti a lottare con tutte le nostre forze.


viroli@princeton.edu

E’ vero che la gestione delle scorie costituisce un problema ormai risolto? E’ falso!

I sostenitori del nucleare affermano che si tratta di una fonte pulita e sicura, quasi che ci si dimentichi del problema della gestione delle scorie.
L'energia nucleare, nel suo ciclo di produzione inevitabilmente origina scorie radioattive la cui gestione costituisce, probabilmente, il più grave dei problemi non risolti connessi a tale tecnologia. Il fatto che la ricerca della soluzione a tale problema abbia goduto, per oltre 50 anni, degli investimenti più massicci rispetto a qualsiasi altra tecnologia ci fa temere che il problema resterà irrisolto, anche perché non esiste la possibilità scientifica di dimostrare il mantenimento delle condizioni di sicurezza necessarie per alcune centinaia di migliaia di anni, richieste dai rifiuti radioattivi di III categoria (ossia le scorie a più altro livello di radioattività derivate direttamene dai processi di combustione e dagli elementi che con questa direttamente vengono a contatto). Nessuna opera dell'uomo può ragionevolmente pensare di sfidare tempi così lunghi! Non esiste in nessuna parte del mondo un'esperienza concreta in grado di assicurare sicurezza e affidabilità, sul lungo periodo, di uno stoccaggio delle scorie a più alta radioattività. Senza considerare quali sarebbero i costi per mantenere in sicurezza un simile sito per tempi tanto lunghi difendendolo anche da possibili attacchi terroristici, un rischio quest'ultimo che è andato aumentando cui possono essere sottoposti non solo gli impianti ma anche le stesse operazioni di trasposto del combustibile esausto. Minacce destinate solo ad accentuarsi qualora ci fosse un incremento di produzione di energia nucleare.
Negli Stati Uniti è dagli anni '70 che si sta studiando un deposito definitivo per le scorie radioattive a più alta intensità. Nel 1978 furono avviati gli studi nel sito di Yucca Mountain, nel deserto del Nevada. I costi di costruzione di questo sito supereranno i 54 miliardi di dollari (che dovranno essere pagati con le tasse dei contribuenti), ma non è affatto certo che questo entrerà mai in funzione. La data d'inizio dello stoccaggio è stata più volte fatta slittare (oggi si parla forse del 2017), questo a causa di numerosi problemi, non ultimo il fatto che il DOE statunitense ha denunziato omissioni e irregolarità negli studi geologici che minano la sicurezza stessa del sito. Peraltro proprio a marzo 2009 l'amministrazione Obama sembrerebbe avere tagliato ingenti fondi a questo progetto, dando un forte segnale di non ritenerlo adeguatamente idoneo come deposito geologico per le scorie.
Ma anche se il deposito di Yucca Mountain dovesse, un giorno, entrare in servizio, potrà contenere circa 70.000 tonnellate di rifiuti radioattivi peccato che, come scrivono in uno splendido libro Balzani e Armaroli  : "nel 2017 gli Stati Uniti avranno accumulato 85.000 tonnellate di combustibile esausto dalle loro centrali nucleari: il deposito è dunque già virtualmente pieno, dieci anni prima della sua apertura. Più in generale, agli attuali ritmi di produzione complessiva di elettricità e armamenti nucleari, il mondo avrebbe bisogno di un deposito con capacità di Yucca Mountain ogni due anni."
A tutto questo andrebbe aggiunto, come riportano sempre Armaroli e Balzani , che "Per ottenere le160 tonnellate di uranio necessarie per far funzionare una centrale standard per un anno, se si parte da un granito ricco in uranio (1000 ppm), occorre processare 160.000 tonnellate di materiale e i lavori in miniera implicano lo sbancamento di quantità ancora maggiori di roccia". I materiali di scarto che restano a valle del processo sono, oltre che radioattivi, fortemente contaminati da una serie di sostanze chimiche impiegate. Si tratta quindi di materiali inquinati e inquinanti che spesso non vengono gestiti in modo adeguato, ma abbandonati sul posto con gravissimi danni per l'ambiente e la salute delle persone stesse.
I pur modesti programmi nucleari che l'Italia aveva sviluppato nel passato e che furono chiusi con il referendum del 1987, ci hanno lasciato la pesante eredità dello smantellamento delle centrali e della gestione delle scorie. Aspetti che sono assai lontani da qualsiasi vera soluzione malgrado l'elevato costo che i cittadini italiani hanno già dovuto sostenere con le proprie bollette elettriche.
Sarebbe quindi saggio che l'Italia, prima di pensare alla costruzione di nuove centrali, provveda a risolvere i problemi lasciatici in eredità dal vecchio nucleare…

3 aprile 2011

E’ vero che l’uranio è una risorsa molto abbondante in natura? E’ falso!

Quello dell'abbondanza dell'uranio in natura è sicuramente una delle principali mistificazioni in merito a questa fonte non rinnovabile. E' vero si che si tratta di un minerale piuttosto diffuso in natura ma solo in concentrazioni praticamente infinitesime, tanto basse da non risultare praticamente sfruttabili. Le uniche riserve realmente sfruttabili sono quelle presenti in pochi giacimenti concentrati solo in alcuni paesi. Di fatto il 60% dell'uranio è prodotto dal Canada, dall'Australia e dal Kazakistan, i paesi in cui si concentrano le principali riserve del minerale. Altri paesi con riserve di un certo interesse sono la Russia, il Niger, la Namibia, l'Uzbekistan, il Sud Africa, il Brasile.

Le riserve complessive di uranio accertate ammonterebbero a circa 5,5 milioni di tonnellate , corrispondenti a 18-29 Gtep elettrici (dal momento che l'unica energia utilizzabile di una centrale nucleare è quella elettrica. All'atto pratico queste sono sufficienti per alimentare gli attuali 435 impianti in esercizio per circa 50 anni…

Va da se che si pensasse di sostituire, per la produzione di elettricità, tutta l'energia fossile con quella nucleare (fissile) occorrerebbe realizzare alcune migliaia di nuove centrali e quel punto le riserve di uranio si esaurirebbero nel giro di pochissimi anni.

Di fatto già oggi la produzione d'uranio è inferiore al reale fabbisogno degli impianti in esercizio: a fronte di una produzione di uranio annua di circa 41.000 tonnellate, il fabbisogno supera le 69.000 tonnellate. Questo deficit è stato colmato dalle scorte militari derivanti dallo smantellamento delle testate nucleari. Ma queste, per fortuna, nei prossimi anni andranno progressivamente a esaurirsi con conseguente ripercussione sulle possibilità effettive di alimentare i reattori.

Esiste poi la leggenda della possibilità di ottenere l'uranio dall'acqua di mare. Ma di leggenda si tratta. L'uranio è effettivamente presente nelle acque marine ma con concentrazioni bassissime, dell'ordine di circa 3 milligrammi per m3. Qualsiasi studio fatto per estrarre quest'uranio ha dimostrato che la fattibilità tecnica si scontra con i bilanci energetici, di cui occorrerebbe sempre tenere conto. Per intenderci l'estrazione dell'uranio dagli oceani richiede quantità di energia sensibilmente superiori rispetto a quelle che poi l'uranio, così ottenuto, fornirebbe in una centrale elettronucleare e, da che mondo e mondo, quando un bilancio energetico è negativo (energia richiesta maggiore di quella ricavata) si tratta di una strada assolutamente priva di senso... Ovviamente non solo i bilanci energetici sarebbero negativi ma anche gli stessi costi finirebbero con l'essere ancora più proibitivi.

1 aprile 2011

E’ vero che in Italia l’energia elettrica costa di più che negli altri paesi europei perché noi non abbiamo impianti nucleari? E’ falso!

Se l'energia elettrica per le utenze domestiche costa più che negli altri paesi non è certo per l'assenza d'impianti nucleari ma piuttosto per tutta una serie di aspetti ed extracosti caratteristici del sistema elettrico italiano.
Uno di questi riguarda il meccanismo di formazione del prezzo dell'elettricità nella Borsa elettrica, detto anche "sistema del prezzo marginale", secondo cui il prezzo orario dell'energia elettrica scambiata è fissato sul prezzo più alto offerto dai produttori. In sostanza con questo meccanismo a tutti i fornitori di energia elettrica è riconosciuto il prezzo più alto tra tutte le offerte fatte in una certa ora. Come dire un meccanismo dove tutti i produttori ci guadagnano a scapito dei cittadini che si vedono lievitare le bollette. In Italia, infatti, i margini di guadagno per i produttori sono quasi doppi rispetto a quelli degli altri paesi europei.
A gonfiare poi le nostre bollette ci sono anche le incentivazioni del famigerato meccanismo CIP 6 (dal nome della deliberazione del Comitato Interministeriale Prezzi del 1992) con cui non solo le energie rinnovabili ma, soprattutto, le così dette assimilate (scarti della lavorazione del petrolio, rifiuti indifferenziati, ecc.) beneficiano di tariffe fortemente incentivanti pagate dai cittadini tramite la componente tariffaria A3 della bolletta elettrica. L'aspetto scandaloso è che circa l'80% degli incentivi CIP 6 sono stati destinati alle assimilate che tutto sono tranne che fonti rinnovabili e pulite. Un vero regalo a petrolieri, inceneritoristi, ecc.
A questi si possono aggiungere una serie di altre "peculiarità" italiane come la rendita di posizione dell'operatore dominante (Enel) per la cessione all'Acquirente Unico dei contratti pluriennali d'importazione (ovviamente fatta a prezzi molto vantaggiosi per l'Enel) oppure il costo d'interrompibilità che, di fatto, consente a soggetti industriali di beneficiare di tariffe elettriche particolarmente vantaggiose.
Tutto l'insieme di distorsioni che caratterizzano il sistema elettrico italiano fanno si che le bollette pagate dai cittadini lievitino di almeno un 20%. Se tutte queste "stranezze" fossero eliminate, le nostre bollette sarebbero equiparabili a quelle degli altri paesi europei. Per contro siamo certi (perché lo dicono prestigiosi studi e gli stessi rapporti economici di Moody's) che, con il nucleare, le bollette elettriche saranno destinate solo ad aumentare…

E’ vero che il nucleare è economico e permetterà di ridurre le bollette dell’energia elettrica? E’ falso!

Quella nucleare è da sempre stata la più costosa delle fonti energetiche, e questo non sono le associazioni ambientaliste a sostenerlo ma enti e università, peraltro spesso molto favorevoli a questa forma di energia. Il Dipartimento dell'Energia degli Stati Uniti  (DOE), alcuni anni fa, aveva stimato che la costruzione di una nuova centrale nucleare avrebbe richiesto diversi anni e alla fine 1 kWh di energia elettrica sarebbe venuto a costare 6,13 centesimi di dollaro, quando lo stesso kWh prodotto da gas sarebbe costato 4,96 centesimi e quello da carbone 5,34, addirittura costerebbe meno l'energia da fonte eolica (5,05 centesimi a kWh). Si tratta peraltro di stime ottimistiche e benevole nei confronti del nucleare, ma il risultato resta quello di una severa bocciatura dal punto di vista economico di questa fonte energetica. A risultati analoghi era giunto un importante studio realizzato dalla Chicago University  sempre per conto DOE. Questo lavoro stimava costi per il nucleare da 47 a 71 dollari al megawattora (MWh), contro i 33-41 dollari del carbone e i 35-45 dollari del turbogas.
Già in un dettagliato studio del 2003 effettuato dal prestigioso Massachusetts Institute of Technology erano assegnati i costi più alti al kWh nucleare . Questo lavoro è stato aggiornato nel 2009  , ma i risultati restano avversi al nucleare…
Anche dai dati della seguente tabella è possibile vedere come sempre il DOE continui a considerare l'energia elettrica prodotta da nuovi impianti (operativi nel 2020) come la più costosa.

Secondo le stime fatte in un recente rapporto dall'agenzia di rating Moody's (Moody's Investors-2008)  si parla di oltre 7.000 $ per kW installato. Inoltre, sempre secondo questo rapporto, per Moody's, il costo del kWh nucleare sta aumentando del 7% l'anno, e quindi nel 2020 sarà praticamente raddoppiato come si vede nel seguente grafico, quindi se si dovessero realizzare centrali nucleari siamo sicuri che anche in Italia le bollette elettriche aumenteranno.

In realtà altri studi indipendenti parlano di cifre già superiori ai 10.000 dollari a kWp, un valore che sembra essere pienamente confermato da quanto accaduto nel 2009 in Canada, dove le offerte per la costruzione di due nuovi reattori sono state tre volte più alte rispetto alle attese al punto che il Governo ha sospeso la gara. All'atto pratico l'offerta dell'AECL (Atomic Energy of Canada Limited) prevedeva per due unità da 1.200 MW, con tecnologia Candu (il reattore ad acqua pesante di canadese), un costo di 26 miliardi di dollari, ossia 10.800 dollari a kWp. La seconda offerta era quella fatta dal costruttore francese Areva, che proponeva due EPR da 1.600 MW al costo di 23,6 miliardi di dollari, ossia 7.375 dollari/kW, ma con minori garanzie sui possibili extracosti, assai comuni in questo tipo d'impianti. Interessante notare come l'offerta Areva, tradotta nella valuta europea, corrisponda a oltre 4.500 euro/kW, ossia quasi il triplo del preventivo presentato al governo finlandese per la centrale di Olkiluoto, e si che si tratta della stessa tecnologia…
Ma questo non deve stupire se si pensa che l'impianto in costruzione in Finlandia ha già maturato tre anni di ritardo e non si sa quando sarà realmente terminato e la spesa prevista è già quasi raddoppiata arrivando a 5,3 miliardi di euro. Tutto questo è stato determinato da pesanti difetti di costruzione (quindi anche di progetto) e violazione delle norme di sicurezza. La stessa amministratrice delegata di Areva ha dovuto ammettere che l'effettivo costo dell'impianto e il tempo necessario a realizzarlo si sarebbero saputi solo a conclusione dei lavori… Verrebbe da chiedersi: quale imprenditore sarebbe tanto pazzo da fare un simile investimento se tutti gli extracosti non fossero immoralmente esternalizzati sulla collettività?
Del resto nella storia del nucleare i reali costi sono sempre stati almeno doppi o tripoli rispetto ai preventivi di partenza, questo a prescindere dal paese considerato. Negli Stati Uniti è ben documentato come i costi effettivi di costruzione abbiano superato quelli di progetto dal 214 al 381%…
Tutte queste valutazioni economiche, già assai negative sull'energia nucleare, potrebbero essere addirittura fortemente sottostimate in particolare per quanto concerne i costi del decommissionamento degli impianti e il trattamento delle scorie di lungo periodo. Aspetti che nella maggior parte dei casi non sono stati adeguatamente, o affatto, considerati nei modelli economici adottati.
Del resto non è un mistero che se negli scorsi decenni la tecnologia nucleare si è sviluppata è stato solo grazie ai massicci finanziamenti governativi strettamente connessi alla corsa agli armamenti nucleari. Gli elevati capitali di rischio e i tempi troppo lunghi di costruzione e di rientro sull'investimento hanno rappresentato uno dei più forti deterrenti per gli investitori privati. Sono questi alcuni dei motivi per cui la stessa Banca Mondiale ha evitato per molto tempo di promuovere investimenti nel settore nucleare.
Ed è per le stesse ragioni che negli USA non si costruiscono più reattori nucleari dai primi anni '80.
Ai già citati costi economici bisognerebbe poi aggiungere quelli umani e sociali legati al problema della sicurezza, non solo per l'impianto nucleare ma anche per il deposito di stoccaggio delle scorie, per il trasporto del combustibile esausto, ecc. Si tratta di costi fortemente sottovalutati e che nessuna compagnia di assicurazione copre: il tutto ricade sulle finanze dello stato e quindi sulla collettività.
Il costo dell'uranio, poi, è destinato a crescere poiché entro il 2030 saranno esaurite le miniere ad alta concentrazione in giacimenti trattare (soft ore), si dovrà quindi ricorrere all'estrazione di uranio da graniti (hard ore) a una concentrazione decine di volte inferiore.
Quindi se l'Italia volesse veramente coprire il 25% dei proprio fabbisogni elettrici col nucleare, come sostiene il governo italiano, occorrerebbe installare oltre10.000 MW (di potenza nucleare), questo comporterebbe un costo superiore a 45 miliardi di euro (almeno stando alla stime fatte nella proposta di Areva al governo canadese) In realtà, dai dati sopra riportati, appare di tutta evidenza che, se si volessero rispettare i migliori standard di sicurezza, i costi più probabili per i 10.000 MW italiani comporterebbero un esborso anche superiore ai 60 miliardi di euro, una somma quasi tre volte maggiore rispetto alle irrealistiche cifre dichiarate da Enel e dal Governo italiano.

31 marzo 2011

E’ vero che l’Italia è costretta a importare a caro prezzo l’energia nucleare dalla Francia? E’ falso!

L'Italia nel 2008 aveva raggiunto una potenza elettrica installata di 98.625 MW, a fronte di un picco di domanda di 55.292 (il massimo storico, di 56.822 MW, era stato raggiunto nel 2007). Praticamente siamo il paese europeo con la maggiore eccedenza di potenza installata e abbiamo già in programma la realizzazione di un numero spropositato (ed inutile) di centrali per altre decine di migliaia MW… Viene quindi da chiedersi a cosa ci serva costruire anche delle centrali nucleari.
Visti questi dati appare chiaro che l'Italia non avrebbe necessità alcuna di importare energia elettrica dalla Francia. Questo accade solo per motivi di mercato e di convenienza.
In realtà l'importazione di energia elettronucleare francese risponde in primis alle esigenze di questo paese piuttosto che a quelle italiane. Le centrali nucleari, infatti, non possono essere accese e spente a piacere come si fa con un ciclo combinato a gas, devono funzionare a ciclo continuo. Si tratta cioè di sistemi molto rigidi che non possono variare la produzione, nell'arco delle 24 ore, in modo adeguato a tenere conto delle diverse richieste sulla rete elettrica. In sostanza, in tutti i paesi industrializzati, durante la notte le richieste sulla rete sono nettamente inferiori a quelle diurne (ad esempio in Italia di notte le richieste sono dell'ordine di 30.000 MW mentre di giorno possono anche superare i 50.000 MW). La Francia, che produce circa il 78% della propria energia elettrica con il nucleare, per garantire la stabilità del proprio sistema, di notte si trova a dovere cedere sottocosto energia elettrica ai paesi confinati ma, in alcuni casi, è anche costretta a importarla a, caro prezzo, nei momenti di picco diurni... Quindi, paradossalmente, è più l'Italia che fa un favore alla Francia acquistando questa corrente. L'Italia per contro ne ha un vantaggio economico, essendo i costi dell'energia nucleare francese fittiziamente bassi poiché scaricati sulla fiscalità generale della Francia, quindi già pagati a caro prezzo dai cittadini di questo paese…

30 marzo 2011

E’ vero che col nucleare l’Italia migliorerà la propria sicurezza energetica e ridurrà la propria dipendenza dal petrolio? E’ falso!

Il nostro Paese non possiede significative riserve di uranio e quindi sarebbe costretto ad importarlo da altri paesi.
I principali produttori di uranio sono il Canada, l'Australia e il Kazakistan. Altri paesi con riserve di un certo interesse sono la Russia, il Niger, la Namibia, l'Uzbekistan, il Sud Africa, il Brasile.
Quindi se decidessimo di puntare sul nucleare per produrre l'energia elettrica sostituiremo la dipendenza dai combustibili fossili con quella dall'uranio: veramente un bell'acquisto… Tutto questo senza considerare che l'uranio è una risorsa assai limitata, che necessita di una complessa filiera (che va dall'estrazione all'arricchimento del minerale) tutta in mano di pochi paesi, quali la Francia, ma non l'Italia. Quindi, oltre alla dipendenza energetica, col nucleare, aggiungeremmo una dipendenza tecnologica. In sostanza per il "sistema Italia" il danno sarebbe doppio…
Peraltro occorre rammentare come il nucleare serve solo a produrre (a caro prezzo) l'energia elettrica, ma l'elettricità rappresenta appena un 20-25% dell'energia complessivamente consumata da un paese industrializzato che, invece, è prevalentemente usata a scopo termico o come combustibili per i trasporti. Forme di energia per cui il nucleare serve piuttosto a poco.
Del resto la Francia, che genera circa il 78% della propria energia elettrica dal nucleare, ha un consumo procapite di petrolio più alto di quello italiano. A dimostrazione, qualora ve ne fosse ancora bisogno, che non è possibile sostituire la polivalenza d'impiego dei combustibili fossili con quelli fissili. E questo si riflette inevitabilmente anche sui livelli delle emissioni procapite di CO2 che, nei due paesi (Francia e Italia), sono sostanzialmente dello stesso ordine di grandezza.

29 marzo 2011

E’ vero che il nucleare è in forte espansione in tutto il mondo? E’ falso!

L'energia nucleare è troppo costosa e scoraggia gli investitori privati, a meno che non ci siano i Governi nazionali a farsi carico di tutta una serie di costi (decommissioning e gestione scorie in primis…).
E' per tale motivo che negli Stati Uniti dagli anni '80 non si costruiscono nuovi impianti. Gli stessi 8,3 miliardi di dollari recentemente stanziati dalla presidenza Obama per realizzare nuovi reattori costituiscono la migliore prova di quanto questi impianti siano diseconomici, a meno che non ci sia un forte intervento pubblico, che poi sarà pagato dai contribuenti con le proprie tasse.
Ma volendo guardare un poco i numeri di quello che i sostenitori di questa fonte energetica chiamano "rinascimento" nucleare, ci accorgiamo di come stiano realmente le cose: oggi nel mondo sono in costruzione circa 34 impianti, di cui 7 in Cina, 7 in Russia e 6 in India. Osservando però le seguenti figure, è facile constatare come circa il 70% dei reattori nucleari, oggi in funzione, siano stati realizzati fra il 1975 e il 1985: questi impianti dovranno, quindi, essere chiusi entro il 2030 (per superati limiti età). Ciò significa che per mantenere l'attuale potenza nucleare, sarebbe necessario sostituire i circa 250 GW che dovranno essere chiusi.

La realtà, quindi, è che i nuovi impianti in costruzione, sempre che riescano tutti a essere realizzati, non saranno sufficienti neanche a compensare quelli che dovranno essere chiusi per raggiunti limiti di età. Nel 2006 sono entrate in funzione 2 centrali e ne sono state chiuse 8… Nel 2015, nella più ottimistica delle ipotesi, ne potrebbero essere aperte una trentina, ma ne dovranno essere chiuse almeno 90… Nel decennio successivo (cioè tra il 2015 e il 2025), per compensare gli impianti che dovranno essere chiusi, occorrerebbe aprirne ben190, cioè una ventina di impianti all'anno con un programma di investimenti economici ed energetici assolutamente insostenibile, e questo solo per compensare gli impianti da dismettere. A dati sostanzialmente analoghi giunge, di fatto, il recente rapporto "The World Nuclear Industry Status Report 2009" , secondo cui, per mantenere costante la potenza installata, sarebbe necessario realizzare ben 192 nuovi impianti entro il 2020: praticamente uno ogni 19 giorni…
Se si pensa che paesi come la Francia, che nei decenni passati aveva fortemente puntato sul nucleare (soprattutto per costituire un proprio arsenale nucleare indipendente dell'Alleanza Atlantica), oggi ha in costruzione un solo impianto (Flamanville), dove non stanno mancando le difficoltà, comprendiamo bene come non solo il nucleare non sia in crescita ma stia vivendo da tempo una profonda e irreversibile crisi.

E’ vero che il nucleare offre un contributo energetico insostituibile? NO!!!

Il contributo attuale al fabbisogno energetico mondiale fornito dal
nucleare si attesta sul valore del 5,9% dell'energia primaria.
In realtà il valore del 5,9% dell'energia primaria non tiene conto del
fatto che solo meno di un terzo del contenuto energetico del
combustibile fissile viene effettivamente sfruttato, in quanto
convertito in energia elettrica, l'unica forma di energia che le
centrali nucleari sono realmente in grado di sfruttare. Se andiamo
infatti a vedere il seguente grafico, con il mix di produzione
dell'energia elettrica, notiamo come il contributo del nucleare
corrisponda al 13,8% (del fabbisogno elettrico), ossia inferiore a
quello dell'energia idroelettrica che contribuisce per il 15,6%.
Del resto, sempre secondo i dati della IEA, nel 2007 la produzione
idroelettrica ammontava a 3.162 miliardi di kWh contro i 2.719 del
nucleare.
Quindi la produzione da nucleare copre effettivamente un 2% dei
consumi mondiali.

Come si vede bene anche dal seguente grafico tratto
dagli importanti lavori di Storm van Leeuwen. Peraltro nessuno studio
scientifico serio prevede che per il futuro il nucleare possa fornire
un maggiore contributo che resterà sempre inferiore a quello di una
fonte rinnovabile come l'idroelettrico.